Nell’articolo di oggi affronteremo i processi che consentono ai nostri impasti di crescere e svilupparsi: fermentazione, lievitazione e maturazione.
Per far si che questi accadano ci serviamo di un ingrediente fondamentale, immancabile: Il lievito.
Partiamo proprio da questo miracoloso e affascinante elemento, di cui si parla sempre come se fosse un personaggio di una favola con diversi ruoli: c’è chi lo vede come un eroe senza paura, utilizzandolo in quantità esorbitanti, chi ne ha timore e cerca di evitarlo per paura che il mostro della digestione lo prenda nella notte.
Nella seconda parte vi chiarirò le differenze dei tre processi di sviluppo citati nel titolo, quindi pazientate se li vedrete menzionati prima, al termine trarrete tutte le dovute conclusioni.
IL LIEVITO
Cosa sono i lieviti?
Sono microrganismi unicellulari che appartengono al regno dei funghi.
Esistono svariati generi di lieviti e la specie utilizzata nel mondo della panificazione è quella dei Saccharomyces Cerevisiae, più comunemente chiamati saccaromiceti. Questi sono piccoli organismi viventi (grandi 5/10 micrometri) che nonostante le loro dimensioni risultano fondamentali nei processi di lievitazione.
I saccaromiceti si nutrono di elementi zuccherini, complessi e semplici, creando attraverso questo processo anidride carbonica e alcol etilico.
I prodotti lievitanti sono svariati e li possiamo dividere in tre categorie:
Pasta madre;
Lievito di birra (fresco e secco);
Lievito istantaneo (chimico) in polvere;
PASTA MADRE
Più comunemente chiamato lievito madre, è un impasto di acqua e farina sottoposto a una contaminazione spontanea da parte di microrganismi presenti nelle materie prime, nell’aria e nell’ambiente in cui viene creato.
È un prodotto vivo e come tale va nutrito, necessita di molte cure e per realizzarlo in modo corretto bisogna avere buone conoscenze delle trasformazioni che avvengono al suo interno.
Questa massa è erroneamente chiamata “lievito” in quanto i principali elementi responsabili della sua fermentazione non sono i saccaromiceti ma bensì i batteri lattici.
È un discorso molto ampio a cui dedicheremo un approfondimento. In commercio la si può trovare in busta: il prodotto sugli scaffali sarà essiccato e pronto all’uso.
LIEVITO DI BIRRA
È chiamato così perché , storicamente, si estraeva dai depositi che si formavano durante la fermentazione dei mosti di birra e in commercio lo troviamo sia fresco che secco.
Il lievito di birra fresco è composto dal 70-75% di acqua e dal 25-30% di sostanza attiva (saccaromiceti), si trova in commercio sotto forma di panetti e si conserva in frigorifero a 4°C per un massimo di 15 giorni.
Nella seconda variante (lievito di birra secco) la percentuale di acqua viene a mancare dando vita ad un prodotto disidratato in polvere: questo ne facilita la conservazione permettendo che si preservi fuori dal frigorifero. Come potrete immaginare eliminando la parte di acqua avremo come risultato un elemento più concentrato e in commercio è reperibile in buste di varie dimensioni.
LIEVITO ISTANTANEO IN POLVERE
Questa tipologia di prodotto è composta da sostanze chimiche che, con l’azione del calore, sprigionano gas permettendo la lievitazione; il più comunemente usato è il bicarbonato di sodio.
Capire le differenze tra i vari prodotti lievitanti è fondamentale per scegliere quello adeguato nel nostro ambito.
Nella produzione degli impasti per pizza i più indicati sono la pasta madre e il lievito di birra perché ne consentono i processi di fermentazione, lievitazione e maturazione; d’ora in poi prenderemo in considerazione solo queste due tipologie.
Il lievito chimico non è indicato in quanto è un prodotto che si innesca direttamente in cottura, non permettendo all’impasto di subire i tre processi fondamentali che avvengono grazie ai microrganismi.
Nell’utilizzare il lievito è fondamentale conoscere due fattori che influenzano i nostri impasti e possiamo dividerli in due categorie: la vita e la quantità.
LA VITA
Il lievito, come noi, nasce, cresce e muore (non toccatevi). Il suo percorso è scandito dalle temperature e dai metodi di conservazione.
In questo approfondimento dobbiamo dividere le tipologie di lievito per capire come mantenerle.
La pasta madre essiccata e il lievito di birra secco possono essere conservati a temperatura ambiente, nella classica scaffalatura di una cucina, possibilmente lontani da fonti di calore; queste due tipologie, essendo disidratate, hanno una vita più lunga e non dobbiamo preoccuparci se non della data di scadenza.
La pasta madre (se creata da noi) e il lievito di birra fresco vanno conservati in frigorifero e la temperatura adatta è di 4°C; essendo prodotti freschi con elevate percentuali di acqua, mantenerli in luoghi con gradazioni non controllate per lungo tempo accorcerebbe la loro vita, non rendendoli idonei ai processi lievitanti. Questi due prodotti possono essere congelati: ad una temperatura inferiore o pari a 0°C fermeremo la loro vita.
Ora è fondamentale capire come le temperature a cui sottoponiamo i nostri impasti influiscano sul lievito.
Ad una temperatura compresa dai 4°C ai 6°C le nostre lievitazioni avverranno con lentezza, i processi di sviluppo che avremo nei nostri impasti saranno lunghi; questa è la classica temperatura da frigorifero, per maturazioni di almeno 24 ore.
Dai 6°C ai 15°C il nostro prodotto svilupperà più velocemente ma non a pieno regime.
Tra i 15°C e i 35°C il lievito accelererà costantemente lo sviluppo dei nostri impasti; questo range comprende le classiche temperature ambiente.
Le temperature comprese tra i 35°C e 55°C sono condizioni particolari, in cui difficilmente ci troviamo, tuttavia il il lievito procede ancora nella sua funzione fino ad arrivare alla sua morte, che abbiamo attorno ai 60°C.
Il percorso nelle temperature vi fa capire come poter far lievitare e maturare i vostri impasti: più bassa sarà la temperatura, più tempo avremo a nostra disposizione; al contrario se faremo lievitare un impasto a temperatura ambiente il processo diventerà più rapido.
Le tempistiche devono essere dettate dalla scelta della farina (tutto dipende da lei): se scegliamo una farina debole possiamo optare per un impasto che lievita a pieno regime e quindi in poche ore, cosa che è sconsigliata fare con una farina media o forte.
LA QUANTITA'
Eccoci alla risposta delle risposte, al sacro Graal della pizza, mi piacerebbe fare come in una serie tv e rimandarvi alla prossima puntata, ma non lo farò.
La quantità consigliata di lievito da utilizzare nei nostri impasti varia in base alla tipologia di prodotto che andremo ad usare:
Pasta madre 50 grammi per chilo di farina;
Lievito di birra fresco 3 grammi per chilo di farina;
Lievito di birra secco 2 grammi per chilo di farina.
La differenza di quantità è dovuta alla capacità lievitante di questi prodotti.
La pasta madre è una coltura naturale di microrganismi che ha come principali responsabili della fermentazione i batteri lattici, che a differenza dei saccaromiceti producono acido lattico, acido acetico, acqua, anidride carbonica e metaboliti secondari; la quantità varia così tanto dalle altre tipologie in quanto ha meno potere lievitante.
Il lievito di birra fresco, va utilizzato in piccole dosi per innescare i processi di fermentazione visto che al suo interno troveremo solo una categoria di microrganismi (saccaromiceti), atti a svolgere un’azione più mirata.
Il lievito di birra secco necessita di essere utilizzato in quantità inferiori, il suo potere fermentativo è accentuato dalla disidratazione, che concentra la presenza dei lieviti in una quantità minore di prodotto.
Immagino le vostre espressioni e i mille panetti da 25 grammi caduti nei vostri impasti da un chilo di farina.
Il lievito va utilizzato in piccole quantità, a meno che non sia pasta madre, altrimenti avremo prodotti che lieviteranno troppo in fretta, i processi interni avverranno troppo velocemente e il nostro impasto finale sarà scorretto.
La quantità di lievito da utilizzare non varia in base alle nostre necessità e neppure a quella dei prodotti che utilizziamo per realizzare i nostri panificati: se vogliamo fare un impasto veloce non aumentiamo la quantità di lievito ma, bensì, utilizziamo una farina debole adatta a brevi lievitazioni; se scegliamo una farina media o forte dobbiamo lasciare il tempo di maturazione adeguato ai nostri prodotti per avere un risultato corretto (qui i'articolo sulle farine).
Come avrete notato tutto si collega.
Concludo il discorso dandovi l’ultima nozione, fondamentale, per l’utilizzo del lievito: nella creazione dei nostri impasti non deve MAI entrare in contatto diretto con il sale. Questa informazione è importantissima perché il sale contrasta il lievito (sarà l’argomento del prossimo articolo), compromettendone l’azione.
FERMENTAZIONE, LIEVITAZIONE E MATURAZIONE
É arrivato il momento di parlarne per capire come mai trovate uno o più di questi termini affianco ai processi fondamentali per la produzione di un impasto.
Fermentazione:
Serie di processi chimici di parziale scomposizione di una sostanza organica in elementi più semplici. Questa azione è operata da enzimi e microrganismi viventi che così traggono l’energia necessaria per il loro accrescimento e la loro moltiplicazione.
Lievitazione:
Aumento di volume e fase di rigonfiamento dovuta all’azione dei gas prodotti durante la fermentazione.
Maturazione:
Processo pari o superiore alle 24 ore, a temperatura tra 2 e 4°C, durante il quale avviene una più approfondita scomposizione di proteine e carboidrati nelle loro componenti più semplici (amminoacidi e glucosio).
Ho voluto riportare le definizioni di questi tre concetti per farvi capire quanto siano differenti e allo steso tempo uniti nella la creazione della nostra pizza.
La fermentazione si innesca nei nostri impasti grazie al lievito che è un elemento fondamentale in quanto consente la scomposizione degli zuccheri complessi (amidi) in zuccheri semplici (glucosio); durante questo processo si creano anidride carbonica e alcol etilico che consentono la lievitazione dei nostri prodotti.
La fase di maturazione, a differenza delle due precedenti, non è scontato che avvenga e non tutti scelgono di metterla in atto. Questo processo permette che le proteine e l’amido vengano scomposti in maniera più “meticolosa” in sostanze semplici e basilari consentendo al nostro organismo di digerirle in minor tempo e con più facilità.
La decisone di attuare questo procedimento, e per quante ore protrarlo, dipende dalla tipologia di farina scelta: una farina debole può evitare la maturazione e generalmente, se viene effettuata, non dura più di 24 ore; una farina forte si trova a suo agio durante maturazioni lunghe e ne ha le potenzialità. Questo processo duraturo consente che i principi nutritivi si scompongano al loro meglio dando vita ad un prodotto altamente digeribile e in grado di donare sapori unici e un’inimitabile fragranza.
Se decidessimo di creare un impasto con una farina forte e lasciarlo lievitare direttamente per 4-8 ore a temperatura ambiente avremo un prodotto ai nostri occhi pronto e lievitato, ma non scomposto correttamente; la mancata maturazione, quindi, crea un impasto più difficile da metabolizzare per il nostro corpo, motivo per il quale avremo più problemi a livello digestivo.
Come nei classici film horror, quando arriva l’assassino, puntualmente la vittima prende le scale e sale al piano superiore imprigionandosi da sola.
Mi sono sempre chiesto il perché.
In questo caso il nostro stomaco è la vittima e la lievitazione è l’assassino: dobbiamo essere più astuti del nostro aggressore, che avanza inesorabile e non si preoccupa di quanto tempo necessiti ai nostri impasti per maturare. Collegandoci alla tabella sulla vita del lievito dobbiamo ricordare che le basse temperature rallentano la lievitazione, dando tempo alla maturazione di avvenire, così da “salvare” il nostro apparato digerente.
Tutti gli impasti, con qualunque farina, possono essere sottoposti a maturazione ma, considerata la presenza in commercio di farine particolarmente adatte a questa operazione, io sceglierò sempre quest’ultime in quanto mi permettono di raggiungere ottimi risultati.
La mia pizza ideale deve essere leggera ma corposa, risultare fragrante, con un accentuata alveolatura, l’impasto deve avere un’identità di sapori e soprattutto deve abbagliarmi con la sua bellezza!
Abbiamo concluso l’argomento e come sempre spero di aver fatto luce sull’utilizzo del lievito e sui termini fondamentali. È un argomento più complesso di quel che si crede, necessita di praticità, tempo e pazienza; i miei articoli seguono molto il “manuale classico” come è giusto che sia, vi esorto a non essere troppo rigidi e allo stesso tempo a non lasciare le cose al caso.
Le quantità riportate sopra sono corrette, ma non per questo definitive: il mio impasto classico (per farvi un esempio) ha un peso totale di circa 19 chili e la quantità di lievito totale che utilizzo è di 8 grammi. Se dovessi essere fiscale, con la quantità di farina inserita (non ve la dirò ma con gli insegnamenti dati la potrete ricavare), dovrei usare 35 grammi di lievito.
Chiacchierando con amici, colleghi e clienti mi è capitato spesso di sentire "Ho mangiato una pizza e mi sono sentito gonfio, ho bevuto tutta la notte!" oppure "Non ho digerito quella pizza, mi è lievitata in pancia!"; queste frasi sono spesso sinonimo di lievitazioni e maturazioni scorrette.
A nostra difesa, se vi fate una quattro formaggi con acciughe, porchetta e salame piccante e poi vi viene sete, non date a priori la colpa all’impasto.
Un abbraccio virtuale, il vostro pizzaiolo.
Ottimo articolo. Completo e comprensibile a tutti.
Valt61.